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Un nuovo Logo per la Comunità Pastorale

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Immediatamente ci si potrebbe domandare a cosa serve un Logo? La Comunità Pastorale non è un’azienda che promuove prodotti che debbano essere riconosciuti da un marchio. Perché allora scegliere qualcosa di distintivo che possa diventare un punto di riferimento, un rimando chiaro ad una realtà significativa per poche persone. Mi ha convinto una riflessione che definisce il logo come una stretta di mano. Se ci pensiamo bene le strette di mano non sono tutte uguali, variano da persona a persona. Dall’enfasi o meno che ognuno di noi mette nello stringere la mano possiamo già sviluppare una prima impressione sul suo conto. Il logo ha la stessa funzione: serve a presentare un’azienda, un prodotto, un servizio. Ma non solo, è in grado anche di suscitare delle sensazioni e delle emozioni.

Sulla base del logo ci facciamo un’idea di come quella realtà potrebbe essere. La sensazione poi potrà essere confermata o smentita, ma, come spesso si dice, non esiste una seconda prima impressione1.
Nel porgervi questa stretta di mano vorrei accompagnarvi nella comprensione di questa immagine che spero diventerà familiare.

Innanzitutto la scelta del Logo è stata originata da alcuni elementi:

  • un riferimento alla Sacra Scrittura;
  • la figura di San Benedetto;
  • il numero delle nostre parrocchie, 6;
  • il riferimento alla Beata Vergine Maria pensando al Santuario di Valdarno.
    Ho pensato di affidare l’elaborazione di una proposta alle Suore Benedettine del Lago d’Orta, pensando che il profondo legame con il nostro Santo patrono potesse aiutarle nel trovare una possibile significativa realizzazione.Sono lieto di presentarvi il nuovo Logo della Comunità Pastorale, la sua originalità merita un’introduzione.Il brano evangelico di riferimento
    Giovanni 2,1-11
    Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. La madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le giare”; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un pò brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono”. Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Il racconto del primo segno compiuto da Gesù ci consente di avere un riferimento evangelico che renda il nostro nuovo logo non semplicemente un marchio di riconoscimento ma un annuncio, un’indicazione per il cammino delle nostre Parrocchie.

Gesù inizia i suoi segni in un momento di festa, non una festa qualsiasi ma quella che è conseguenza della nascita di una nuova famiglia, di una realtà che la Comunità dei credenti da Gesù in poi chiamerà “chiesa domestica”: la Chiesa che vive nella casa. Maria è colei che intuisce come la gioia della festa possa venire meno quando la delusione della mancanza del vino potrebbe mettere in difficoltà gli sposi. Il suo intervento non è finalizzato semplicemente a prolungare la festa ma a custodire la gioia della convivialità, che trova nell’accoglienza una delle sue forme più alte.

Nella nostra Comunità Pastorale il Santuario di Valdarno è luogo che può unificare i cammini di tutte le parrocchie trovando in Maria colei che è Madre della Chiesa.

Le sei giare indicano le sei Parrocchie, sei realtà diverse, diversità richiamata dai colori, ma con la stessa finalità del contenere dell’acqua. Tutti possono partecipare alla gioia della festa, nessuna Comunità è esclusa, nessun fedele è incapace di offrire, se vuole, il suo contributo.

Analizziamo nello specifico i dettagli del logo.

La croce “stellata” ci indica l’amore di Gesù e la luce che Maria stella del mattino ci dona.
La croce è la nostra guida, è un cammino di salvezza per ogni uomo, è la “segnaletica” che sulla strada della vita ci guida verso l’incontro più autentico con il Dio di Gesù Cristo.

Maria è la madre di Dio ed è la Madre di ogni uomo, Lei ci porta a Gesù perché ci insegna a credere, sperare e amare. Maria ci indica la via verso il regno del suo figlio Gesù. Stella del mare brilla su di noi e ci guida nel nostro cammino (cfr. Spe salvi 50).

I due tratti dell’ovale hanno i colori dell’acqua e del vino, i due elementi che rimandano al miracolo delle nozze di Cana. L’acqua è quello che noi possiamo dare, il vino è ciò che Dio dona come risposta alla nostra offerta.

L’ovale rimanda alla Comunità, racchiude idealmente tutti coloro che si riconoscono nell’annuncio del vangelo ma non ha un confine limitato e limitante: è aperto a tutti coloro che vogliono fare esperienza di una vita capace di diventare vino abbondante e buono pur partendo dalla propria povertà.

Le giare fanno riferimento alle sei parrocchie. Tutte hanno la stessa forma e la stessa dimensione, sono vicine ma distinte, a differenziarle il colore che spesso è indicatore di una caratteristica particolare. Tutte contengono acqua e tutte sono chiamate a donare ciò che contengono. È solo il donare quello che che si ha che permette a Dio di compiere il miracolo. Non è importante la quantità di acqua se è sufficiente una bicchiere di acqua fresca per entrare nel regno dei cieli, o se i due spiccioli di una vedova povera valgono più dei tesori di chi è nella sovrabbondanza.

Le nostre comunità parrocchiali pur essendo vicine hanno storie diverse, chiese diverse, consuetudini e abitudini consolidate, ma non posso essere divise quando è l’unico Signore e Maestro che invochiamo e seguiamo.

L’acqua trasformata dalla grazia di Dio diventa vino molto buono. «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo?» (1Cor 10,16a).

«Poiché tutti i credenti formano un solo corpo, il bene degli uni è
comunicato agli altri. […] Allo stesso modo bisogna credere che
esista una comunione di beni nella Chiesa. Ma il membro più
importante è Cristo, poiché è il Capo. […] Pertanto, il bene di
Cristo è comunicato a tutte le membra; ciò avviene mediante i sacramenti della Chiesa». «L’unità dello Spirito, da cui la Chiesa è animata e retta, fa sì che tutto quanto essa possiede sia comune a tutti coloro che vi appartengono». 
(Catechismo della Chiesa Cattolica 947). Il luogo della più alta comunione che possiamo realizzare è nella celebrazione eucaristica.

«Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, abbiamo comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù Cristo, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato.” (1Gv1,7)».

È il riferimento più esplicito a San Benedetto, il santo patrono della Comunità Pastorale: prega e lavora e leggi. Vorrei che questo riferimento non fosse solo nominale ma possa guidare nella concretezza della vita quotidiana suggerendoci di scegliere tutti di avere una regola di vita, che se anche non può avere le caratteristiche di una regola monastica ad essa si ispira.

«Nulla si anteponga all’Opera di Dio» (RB 43,3). Nella
Regola di San Benedetto si dice che non si dovrebbe anteporre nulla alle alle preghiere, ripete questa norma in 13 capitoli. La preghiera non è tutto ma tutto passa dalla preghiera amo ripetere spesso. La prima appartenenza a Dio e alla Chiesa passa dalla preghiera personale e comunitaria che per essere autentica ha bisogno di preparazione e non può esser lasciata alla improvvisazione.

Benedetto divide la giornata in modo che le ore di lavoro non durino mai troppo a lungo, interrompendole con la preghiera, la lettura o la riunione delle sorelle, dei fratelli. Questo sistema favorisce la concentrazione. In un tempo come il nostro di affannoso lavoro dove ogni giorno spuntano specialisti che ci insegnano come organizzare il tempo e l’agenda, fa sorridere, fa pensare che ci sia una saggezza che affonda le sue radici in un’antichità che in realtà è un prezioso tesoro. Come sarebbe interessante che anche questa dimensione della vita potesse essere più condivisa, in forme diverse dal passato certo, ma senza perdere la bellezza che era contenuta nel lavoro concorde che spesso occupava tutti i membri di una famiglia.

«L’ozio è nemico dell’anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio della parola di Dio»” (RB 48,1). San Benedetto determina esattamente quanto tempo deve essere dedicato al lavoro e quanto alla lettura. In questo contesto si parla di “lectio divina” (lettura divina). Ogni singola parola deve sciogliersi in bocca e favorire la meditazione.

Non si tratta di leggere rapidamente un testo come se fosse un articolo di giornale per trarne le notizie più importanti di politica, economia o sport. Lo scopo è di interiorizzare tramite la lettura il testo spirituale perché sia nutrimento: «l’uomo non vive di solo pane ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).

È possibile che si possano trovare altre intuizioni che la mia lettura non ha fatto emergere. Sarei lieto di ricevere qualche annotazione sul Logo: donroberto.dimarno@gmail.com.

Il Logo è proprietà della Comunità Pastorale San Benedetto, non può essere utilizzato senza l’autorizzazione scritta del Parroco.