Il 30 maggio don Arnaldo ha terminato di camminare per le strade del mondo, delle nostre vite. Lo ricordiamo con gratitudine e affetto.
Queste le parole dell’amico don Paolo Torti al funerale che abbiamo celebrato in Basilica a Gallarate il 1 giugno.
Mi è stato chiesto di tenere questa omelia. Ho accettato, ma con un po’ di tremore perché ho sempre sentito don Arnaldo come un maestro, un padre, un fratello grande. E quando nasce un rapporto così, ti prende per la vita intera. Puoi non rivedere l’amico per tanto tempo, ma c’è qualcosa di lui che vive in te, per cui è sempre presente, come volto visibile del volto di Cristo che non ti lascia mai.
Ho incontrato don Arnaldo nel 1973 qui a Gallarate. Mi ha accolto con un’attenzione puntuale che poi ho visto con tutti. Aveva la capacità di vedere tutto di te, ma in modo discreto, non invasivo: una sorta di abbraccio al cuore. Ti portava ad aprirti con lui per raccontare: tutto gli era caro della persona che aveva davanti e tutto lo appassionava. Da dove veniva questa paternità verso l’altro?
Arrivato a Gallarate da Varedo nel 1958, si era reso conto che la sfida della Chiesa passava attraverso i giovani. L’arcivescovo lo aveva mandato per lavorare nell’ambito giovanile e lui ci si era buttato generosamente ma aveva sentito la necessità di un metodo.
Aveva visto in don Giussani, già dal seminario, uno “strano modo” di entrare in rapporto con i ragazzi. Letti i primi scritto del Gius, aveva deciso di incontrarlo. E il Gius venne da lui.
Dall’incontro con don Giussani ebbe inizio tutto un cammino che non si è più fermato, nemmeno nella lunga vecchiaia.
Quell’incontro gli aveva fatto cogliere che il suo sacerdozio era fatto per aprire la prospettiva delle persone che incontrava a lasciarsi prendere da un’amicizia, da una comunione in cui la bellezza di Cristo diventava visibile per tutti. Nello stesso tempo trasmetteva ai suoi giovani e poi agli adulti che tutto a loro era arrivato per grazia, puro dono, e quindi bisognava lasciar dilatare il dono fino a diventare carità spalancata ad ogni persona incontrata.
L’apertura alla caritativa spinse tanti in una vera e coraggiosa dedizione, sempre seguita in modo educativo da don Arnaldo perché non fosse il prodotto della generosità delle persone, ma l’amore di Cristo trasmesso nella relazione caritativa. Da quella passione nacquero tentativi e strutture di presenza nella società per molti suoi discepoli che si lanciavano nei vari ambiti: l’educazione, la cultura, l’arte, l’assistenza, la politica…
Intanto i ragazzi di un tempo avevano fatto famiglia e allora nacque in lui e in diversi adulti il bisogno di aiutarsi nel cammino matrimoniale e nell’educazione dei figli. Non poteva bastare un confronto di metodo, occorreva una vita insieme, una sorta di monastero vissuto nel mondo.
Sempre nel confronto con don Giussani venne l’esperienza della fraternità che prese l’aspetto del ritrovarsi in una casa anzitutto nella preghiera comune, nel confronto sui punti caldi della vita, nella condivisione che poi si trasformava anche in amicizia conviviale.
Il “terminal” (così il Gius chiamò l’esperienza di fraternità in cui si erano coinvolti sacerdoti e famiglie in casa Martarelli) divenne un punto di riferimento che aiutò anche il nascere della Fraternità di CL nel suo aspetto associativo.
L’incontro con Giussani aveva lasciato in don Aranaldo un metodo, una strada. Lui non si era più fermato e poi tutto quello che era venuto dalla sua inziale passione educativa divenne esperienza ecclesiale anche nelle altre parrocchie, ad Albizzate prima e poi a S. Maria Rossa in Crescenzago.
I passaggi fondamentali restarono: la grazia che creava l’incontro, la passione per la persona incontrata, la comunione che nasceva e poi il gusto dell’apertura al mondo, cioè la missione.
Tutto questo nelle prediche, nelle riunioni, nelle vacanze comunitarie, nei suoi scritti… fino ai suoi curiosi e affascinanti racconti di uomo saggio, che tale era non perché aveva saputo far sue molte informazioni, ma perché ogni incontro era stato per lui una ricchezza nuova ricevuta in dono e da custodire. E poi anche le poesie in dialetto come stupore dei tanti anni trascorsi.
Chiudo con un grazie al Signore perché attraverso di lui la vita della Chiesa si è mostrata bella, affascinante. Nel Popolo di Dio talvolta il Signore fa sorgere un padre che non si accorge di fare cose grandi, ma che le fa attraverso la grandezza della comunione con i suoi figli.
Il suo funerale è qui perché “ha voluto finire i suoi giorni con i suoi ragazzi prima di tornare alla Casa del Padre”.
Il 9 maggio don Arnaldo manda uno scritto ai suoi amici di Gallarate, riuniti per seguire la celebrazione di apertura del processo di beatificazione di don Giussani:
“Carissimi, col cuore vorrei essere anch’io con voi, ma davvero non ce la faccio. Tuttavia col cuore STUPITO, GRATO, pieno di COMPASSIONE (cioè struggimento per la missione) sarò tra voi ricordando quel lontano pomeriggio in cui Giussani (in treno!) venne a gettare il seme di ciò che la grazia di Dio fece fiorire e ancora oggi dà frutti in questa bella comunità. Immeritati: per destare la nostra responsabilità!
Grazie di tutto l’affetto di cui mi sento circondato, anch’esso immeritato perchè tutto è GRAZIA! Segno della Sua Presenza!
Un abbraccio
Don Arnaldo”